Questo è il report dunque di due eventi, perchè la musica si guarda e si ascolta!
Milano e Roma , 16 e 17 novembre
Jason Moran, pianoforte
Robert Glasper, pianoforte e pianoforte elettronico
Jason
Moran e Robert Glasper sono due veri e propri talenti del pianismo americano,
molto diversi tra loro. Moran con una espressività sincera ma più strategica,
compositiva, volutamente costruita attraverso diverse soluzioni sonore anche
“altre” dal pianoforte, con una tendenza a giustapporre tra loro episodi
“chiusi” e creare raffinati e godibili mosaici musicali; Glasper più
torrenziale ma anche più intimista, più emotivamente narrativo, alla costante e
percettibile ricerca del tocco giusto per esprimere un sentire che sembrerebbe
dell’ immediato.
Eppure
queste differenze nel loro concerto a due pianoforti si traducono in una
irresistibile complementarietà: non tanto due opposti che si attraggono, ma
piuttosto due metà di una mela che tende a ricostituirsi in un intero. Sarà forse perché entrambi
hanno una benefica permeabilità al modo sonoro che li circonda, all’infuori del
Jazz. Sarà probabilmente che entrambi sono tutt’altro che narcisisticamente
chiusi in se stessi, o forse anche perché entrambi hanno una solida
preparazione accademica ma anche un vero e proprio culto per i grandi del Jazz,
come Thelonius Monk, o Herbie Hancock, e di molti altri grandi del pianoforte
Jazz, a partire dai pionieri del pianoforte di Harlem degli anni '20.
Fatto
sta che durante questo concerto per due pianoforti per un’ ora e mezzo di
musica non abbiamo ascoltato due pianoforti, ma un’ unica ondata di musica
bilanciata, un pianoforte al quadrato, per essere più chiari, una serie quasi
infinita di spunti che si inanellavano in un viaggio nel jazz di entrambi,
incrociati e agganciati tra loro alla perfezione proprio in virtù delle loro
differenze divenute reciproci appigli, giacché di certo due superfici lisce ed
identiche tra loro non possono che scivolare via.
E così anche i ruoli si sono scambiati di
continuo: l’ uno accompagnava, l’ altro cantava; l’ uno costruiva lunghe frasi
melodiche, l’ altro contrastava con accordi dissonanti.
Ma
oltre ai contrasti in contemporanea accadevano anche sapienti stop con frasi spezzate in totale sintonia sonora, o
graduali assottigliamenti del suono fino alla vera rarefazione, o l'
inspessirsi fino al volume massimo dell' andamento percussivo, per accordi, che
diveniva a tratti addirittura sontuoso.
Quando l’ uno ha abbandonato
il palco per lasciare solo l’ altro, nonostante le grandi differenze
stilistiche la continuità “narrativa” sembrava non fermarsi mai.
Molta improvvisazione
libera ma su temi fortemente vicini ad entrambi: Monk, Hancock, lo stride, ma
anche la musica del rapper Scarface a dare ossigeno, freschezza, ad un
repertorio che di “repertorio” ha solo il nome, poiché tutto è riletto in
chiave nuova, fresca, originale. C’è la storia del Jazz in questo
concerto, c’è il blues, ma si fatica a riconoscere i brani, per quanto sono
metabolizzati e ricreati da questi due artisti entrambi dalla personalità
prorompente.
L'
unico limite di tanta positività è probabilmente la forma in “suite”, fatta di
lunghi episodi, e raccordi che introducono altri lunghi episodi, senza
soluzione di continuità. Ovvero i due hanno
suonato (splendidamente, certo) quasi di continuo, molto, forse troppo
lungamente, negando quelle interruzioni che provocano, in chi ascolta, una
sorta di benefica “fame di musica”. In questo caso, pur risultando Glasper e
Moran certamente ipnotici e coinvolgenti , in realtà per chi vi scrive è
avvenuta anche una sorta di assuefazione al suono, con conseguente bisogno di
forzarsi per apprezzare ogni sfumatura ed evitare di percepire il tutto come
“monocorde”: il che assolutamente non
era.
Sono state preziose le poche parole,
forse troppo poche,pronunciate da questi due artisti così riccamente ispirati.
Perchè di sicuro questo bel concerto non è stato solo un flusso ininterrotto di
improvvisazione amorfa, che prevederebbe una sorta di lasciarsi andare rituale:
un appassionato timoniere in casi come questo è essenziale per rendere visibili le bellezze
nascoste di un vero viaggio creativo nel Jazz.
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