Teatro Europauditorium, ore 21.30
Chick Corea Trio
Chick Corea, pianoforte
Christian McBride, contrabbasso
Brian Blade, batteria
A
Bologna Jazz Festival questo del Chick Corea Trio era l’ unico concerto in
Italia: e diciamo la verità, esserci state per noi è stato importante. Soprattutto perché abbiamo ascoltato il Jazz
americano che ci ha saputo riportare alle origini del nostro amore sconfinato
per questa musica ed allo stesso tempo ci ha fatto ancora una volta stupire di
quanta freschezza possa essa svelare. Perché
nel Jazz a volte anche l’ improvvisazione può essere ripetitiva, basata su
schemi rigidi: oppure può essere sostituita (con la scusa della libertà
espressiva) con il caos di note affastellate senza senso.
Per una sera esentate fuori dall’ oramai abusato termine “progetto” abbiamo ascoltato tre Jazzisti che per più di un’ ora hanno suonato insieme. Non sembri scontato: suonare insieme nel jazz, che è in fondo un comporre “work in progress” e istantaneo vuol dire ascoltarsi, guardarsi nei momenti giusti, lanciarsi idee reciprocamente e perseguire (lo si è detto molte volte) la musica.
Per una sera esentate fuori dall’ oramai abusato termine “progetto” abbiamo ascoltato tre Jazzisti che per più di un’ ora hanno suonato insieme. Non sembri scontato: suonare insieme nel jazz, che è in fondo un comporre “work in progress” e istantaneo vuol dire ascoltarsi, guardarsi nei momenti giusti, lanciarsi idee reciprocamente e perseguire (lo si è detto molte volte) la musica.
Un
concerto bellissimo: a cominciare dalle intro pianistiche di Corea: melodiche e
morbide eppure anche dolcemente dissonanti, piccoli concerti in piano solo che
racchiudono già tutto il tesoro musicale che si svilupperà poco dopo. Su queste si inseriscono di volta in volta
con eleganza il contrabbasso di McBride e la batteria di Blade, uno alla volta,
insieme, non importa descrivere tutto, importa il gusto, la musicalità, la
assoluta mancanza di spacconerie per emergere a discapito l’ uno dell’ altro.La
benefica tensione armonica può essere ottenuta con il contrabbasso suonato ad
arco che tiene note lunghe ricche di dinamiche e che si interseca con la
batteria che disgrega la regolarità dei battiti in mille piccoli suoni, mentre
il pianoforte indugia in accordi sempre inusuali: fino a sfociare in un accattivante “latin”. Oppure si accenna inizialmente un tema “monkiano” che Corea fa gradualmente emergere da un
ostinato per poi partire con uno swing dei più contagiosi. Corea ha una fantasia illimitata, ma questo
si sa, eppure in ogni sua trovata ritmica, di fraseggio, o timbrica, è
riconoscibile la sua inconfondibile impronta.
Non imita nessuno, non imita se stesso, ma crea come sa fare lui cose
sempre nuove.
Il
contrabbasso di McBride è sonoramente e stupendamente presente sempre, così
come il Jazz vuole: linee di basso pulite ritmicamente e sui punti armonici
cardine, con quelle tipiche “acciaccature” tra un passaggio e l’ altro che
fanno swing; ostinati ritmici sul V grado quando il pezzo indugia sulla
dominante. Improvvisa volando senza mai
tralasciando di presentare il tema, di espanderlo, con un suono netto e un
timbro pieno anche nei pianissimo. Ha fantasia, gusto, è fondamentale spina
dorsale nei momenti di insieme, i suoi soli sono trascinanti e potenti.
Dulcis in fundo, la meraviglia, solo così la possiamo
definire, della batteria di Brian Blade.
Definirlo bravissimo sembra riduttivo, perché Brian Blade è geniale,
commovente, musicale con con il suo strumento quasi come fosse... un
pianoforte. Difficile spiegare come faccia, si può dire
che ama i contrasti tra timbri opposti: e allora usa il suo strumento usando
due elementi alla volta (ad esempio cassa e ride, e poi cassa e charleston). E
la cassa quanto sa essere sommessa e leggera, se Blade decide di sfruttarne un lato
sonoro quasi sconosciuto… ma improvvisamente ecco arrivare travolgenti rullate
ed un’ infinità di linee ritmiche, timbriche, melodiche. Oppure insiste ipnoticamente, a lungo su ogni
elemento dello strumento, uno alla volta, facendo adagiare l’ udito su quel
suono, facendo capire le infinite possibilità del rullante, o del charleston, o
del piatto, tenendoti in una sorta di limbo per poi trascinarti improvvisamente
in un solo acrobatico che però non è mai solo virtuosistico.
E’ minimalista,
pieno di raffinatezze che però non sono mai solo “estetiche” ma sono sempre
legate a ciò che accade attorno a lui.
Sa essere sommesso all’ ennesima potenza e potente anche quanto è
sommesso. Spesso ha in mano l’ atmosfera di ciò che accade sul palco. Crea tensione e poi la rilascia al momento
giusto, ascolta, carpisce e sviluppa. Se
il pianoforte di Corea diventa ostinatamente ritmico, Blade lo asseconda
cedendogli il passo. Mantiene sempre lo
swing di base, quello classico, jazzistico, dell’ accento sui tempi deboli, che
rimane sempre fortemente percettibile: intanto però contemporaneamente c’è “ l’altro Brian Blade” che crea sopra quello swing “di servizio” tutta un’ altra
linea ritmica parallela: battiti inaspettati sul rullante, silenzi improvvisi
dove mai li aspetteresti e che dunque scoppiano
come se fossero colpi secchi, vere e proprie linee melodiche sui tom. Una
immaginazione incredibilmente fervida, momenti “sottovoce” intensissimi.
Potrei andare avanti all’ infinito ma qui mi fermo. W il Jazz, che potete vedere nelle foto di Daniela Crevena, che ha avuto solo meno di cinque minuti per fotografare: e che le sono bastati! D&D
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