Una serata quasi jazzistica, ove quel “quasi” è una nuvola delicata, sfumata, piacevole nella melodia, nella poesia dei testi, nell’ atmosfera elegante di una musica che non scimmiotta il Jazz, piuttosto ne usa le tinte per una specie di affinità emotiva che ne esalta .
In modo diverso, naturalmente, per due interpreti diversi tra loro ma uniti da una classe interpretativa indiscutibile.
Joe Barbieri canta il sentire più intimo di sentimenti non di maniera, e lo canta con parole semplici eppure non scontate e con arrangiamenti adeguati ad un clima interiorizzato ma mai cupo. Sono belli i suoi dialoghi con il pianoforte di Antonio Fresa, è bello il contrabbasso di Giacomo Pedicini che davvero creano un clima di certo raffinato, ma anche denso di emozioni. Barbieri, Fresa e Pedicini riescono a rendere poesia il sentire di ognuno, parlando certo di un quotidiano forse minimale ma che ascoltandolo diventa denso di significato e soprattutto poetico. Un po’ di canzone napoletana, accenni di bossanova, clima jazzistico sapientemente modulati evocano ricordi, amori, tenerezze e angosce facendo sorridere, o piangere, o rendendo vive piccole nostalgie sopite. E’ dunque naturale che si instauri una forte vibrazione tra il palco e la platea, che si accende ulteriormente con l’ ingresso di Fabrizio Bosso: “La voglia, la pazzia” è gioiosa e stilisticamente perfetta e chiude in bellezza un concerto emozionante.
La vibrazione tra palco e platea non si fa attendere
neanche durante il secondo set, perché il duo Paoli – Rea riesce a proporre un
repertorio di canzoni che fanno parte oramai non solo del nostro immaginario,
ma del nostro vissuto, presentandole allo stesso tempo con una modalità così poco
ascoltata, così nuova, così intensa che non si assiste di certo ad un
malinconico “revival”, vetrificato o sterilmente nostalgico. Si ri – vive, non nel senso del ripetere o ri
– proporre. Tanto più che la scaletta è variegata e “onnicomprensiva” di canzoni
scelte tra ambiti diversi. E allora si comincia con “Una furtiva lagrima” di
Donizetti, struggente, malinconica, in cui le due spiccate personalità di Paoli
e Rea non fanno che evidenziarsi a vicenda, uno con la sua voce inconfondibile
che calca il tono drammatico del brano, l’ altro con il suo solo squisitamente
Jazzistico, che miracolosamente si intrecciano in un mix di intenso
equilibrio. E poi si passa a ricordare
grandi cantautori, amici per Paoli, con Lauzi e De Andrè, rievocati in una
medley pianistica da Rea: con “Ritornerai”, sospesa e nostalgica, e una
strepitosa “Bocca di Rosa” che diventa cadenzata, una tarantella quasi
drammatica negli accordi fortissimi e ritmati.
E Tenco, con “Vedrai”, che Paoli quasi recita con voce ruvida e intensa. “O’ sole mio” è resa con singolare contrasto
tra la strofa, dolce e intima, e il ritornello, gridato con convinzione e
sottolineato in maniera quasi barocca dal pianoforte di Rea. “Reginella” è
addirittura commovente.
Nulla di già ascoltato, neanche quando attacca “Sapore di Sale”. Neanche con “La Gatta”, che Paoli canta così come si canta “La Gatta” ma che Rea accompagna con accordi dissonanti. E neanche quando, parte “Senza Fine”, si può dire che quella canzone sia la solita, trita “Senza Fine” di Gino Paoli
Un bis emozionante complice la tromba di Fabrizio Bosso con "Io che ho amato solo te" di Sergio Endrigo: “Note d’ autore” non poteva chiudersi in modo bello e più suggestivo : sotto le stelle, al Castello dei Nove Merli, con tre fuoriclasse della musica, non importa neanche più capire se musica Jazz, d’ autore, leggera, italiana… e accompagnati (veramente!) persino da intonatissimi e romantici grilli.
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