Milano, sabato 16 marzo, 2013 - ore 21.00
Brad Mehldau tastiere, synth
Mark Guiliana batteria
Gli artisti veri si mettono in gioco, non rimangono aggrappati alla
loro poetica per paura di non avere più il riscontro del loro pubblico.
Sperimentano non tanto con il fine di stupire, ma perché sentono il bisogno
probabilmente di esprimersi in un modo diverso, si cimentano, e soprattutto
hanno il bisogno continuo di studiare di nuovo.
Si, potrebbe questa essere una affermazione anche romanticamente campata per aria, ma ci si accorge quando un “progetto” (termine oramai abusato) è strategicamente pensato a tavolino ammiccando ad un pubblico plaudente. Si percepisce da piccole cose, reiterazioni di riff accattivanti, o anche al contrario di episodi sonori “scioccanti” volti magari a farsi ricordare come musicista di rottura, o si intravede una ricerca spasmodica del qualcosa “non ancora suonato”che è sempre illusorio, perché oramai si è suonato pressoché tutto.
Brad Mehldau sta presentando se stesso con tastiere e Rhodes, in duo con il (bravissimo) batterista Mark Guiliana. Mi viene da dire, io che l’ ho ascoltato dal vivo più volte, che ultimamente forse una sensazione minima di autoreferenzialità l’ avevo colta: nonostante i suoi concerti siano sempre stati per me un’ esperienza emotiva fortissima, in cui questa autoreferenzialità era veramente un’ inezia rispetto a ciò che ascoltavo. Anche perché nella mia percezione personale,trapela dal pianismo di Mehldau sempre una certa inquietudine, un qualcosa di inespresso che sta per venire fuori, anche nei brani più espliciti e aperti, anche in quelli in cui Mehldau cita Mehldau, per intendersi.
Questo concerto inizialmente mi ha destabilizzata. Io Mehldau lo amo al pianoforte, con quel suo tocco particolare quasi nervoso, con i suoi fraseggi a volte accennati e lasciati in sospeso a volte scroscianti. Mi piacciono le sue melodie semplici armonizzate in maniera contrastante, quasi drammaticamente, o quelle improvvise oasi sonore quasi oniriche. Il duo Mehliana è improvvisazione, suoni psichedelici, ricerca del suono in sé in tutte le sue sfaccettature: ovvero il suono come sorgente evocativa. Ma anche il suono come gioco estemporaneo. E anche il suono come premio di una sfida tra due fuoriclasse (si, perché Giuiliana la batteria la sa suonare, e benissimo).
Dunque ho dovuto scardinare la mia assodata concezione di “Mehldau” per godermi questo concerto, ma non mi ci è voluto poi tanto: è bastato abbandonare l ‘assodato e lasciarmi trasportare proprio dal suono. Niente di strategico, nessuna ricerca dell’ originalità ancora non suonata: Mehliana, li chiamo così da ora in poi, perché la fusione tra lui e Guiliana è totale , è un unico musicista che ha deciso di produrre i suoni più viscerali ed istintivi che si possano immaginare. Non serve cercare di distinguere i suoni sintetizzati e quelli acustici della batteria, perché si entra in un’ altra dimensione. A tratti emerge Mehldau, con un accordo, un riff melodico inconfondibile. Ma sono momenti quasi subliminali in un torrente di suoni nuovi, nuovi perché parlano di un’ intenzione di ricerca, di rinnovarsi. Mehldau esprime se stesso, ancora una volta, riuscendo a comunicare se stesso nella sua nuova identità Mehliana .
Posso qui descrivere che ho ascoltato ad esempio un’ alternanza di due accordi, I minore e diminuita, che si tramutano in maggiore e sui quali si costruisce un’ improvvisazione totalmente libera. Oppure un suono continuo a bordone scelto per a sua fissità e per il timbro penetrante, quasi disturbante, ossessivo fino allo spasimo e una progressione fissa di accordi, circolare, continua… o anche un episodio slow in cui il i suoni acustici della batteria e gli effetti delle tastiere evidenziavano la ricerca spasmodica dei contrasti timbrici. O anche dei drammatici crescendo di volume in cui la batteria cresce anche di spessore sonoro, virtuosisticamente, fino all’ estremo per poi arrivare quasi di botto alla rarefazione totale. Arpeggi a loop, cristallini, con la mano sinistra,mentre la destra insiste su suoni acuti. Poi improvvisamente emergono accordi blues. E ancora accordi fermi che durano un’ intera battuta. Alcuni brani impiantati su una struttura di una semplicità disarmante, altri talmente convulsi da rendere difficile il riconoscerne la struttura stessa. E’ servito a qualcosa che io vi abbia descritto alcune (solo alcune) delle cose accadute dal punto di vista strettamente musicale? Non credo. Mehliana va fruito non resistendo psicologicamente alla intensa quantità di suono che vi travolgerà. Al termine vi ci vorrà qualche minuto per rientrare in voi.
Si, potrebbe questa essere una affermazione anche romanticamente campata per aria, ma ci si accorge quando un “progetto” (termine oramai abusato) è strategicamente pensato a tavolino ammiccando ad un pubblico plaudente. Si percepisce da piccole cose, reiterazioni di riff accattivanti, o anche al contrario di episodi sonori “scioccanti” volti magari a farsi ricordare come musicista di rottura, o si intravede una ricerca spasmodica del qualcosa “non ancora suonato”che è sempre illusorio, perché oramai si è suonato pressoché tutto.
Brad Mehldau sta presentando se stesso con tastiere e Rhodes, in duo con il (bravissimo) batterista Mark Guiliana. Mi viene da dire, io che l’ ho ascoltato dal vivo più volte, che ultimamente forse una sensazione minima di autoreferenzialità l’ avevo colta: nonostante i suoi concerti siano sempre stati per me un’ esperienza emotiva fortissima, in cui questa autoreferenzialità era veramente un’ inezia rispetto a ciò che ascoltavo. Anche perché nella mia percezione personale,trapela dal pianismo di Mehldau sempre una certa inquietudine, un qualcosa di inespresso che sta per venire fuori, anche nei brani più espliciti e aperti, anche in quelli in cui Mehldau cita Mehldau, per intendersi.
Questo concerto inizialmente mi ha destabilizzata. Io Mehldau lo amo al pianoforte, con quel suo tocco particolare quasi nervoso, con i suoi fraseggi a volte accennati e lasciati in sospeso a volte scroscianti. Mi piacciono le sue melodie semplici armonizzate in maniera contrastante, quasi drammaticamente, o quelle improvvise oasi sonore quasi oniriche. Il duo Mehliana è improvvisazione, suoni psichedelici, ricerca del suono in sé in tutte le sue sfaccettature: ovvero il suono come sorgente evocativa. Ma anche il suono come gioco estemporaneo. E anche il suono come premio di una sfida tra due fuoriclasse (si, perché Giuiliana la batteria la sa suonare, e benissimo).
Dunque ho dovuto scardinare la mia assodata concezione di “Mehldau” per godermi questo concerto, ma non mi ci è voluto poi tanto: è bastato abbandonare l ‘assodato e lasciarmi trasportare proprio dal suono. Niente di strategico, nessuna ricerca dell’ originalità ancora non suonata: Mehliana, li chiamo così da ora in poi, perché la fusione tra lui e Guiliana è totale , è un unico musicista che ha deciso di produrre i suoni più viscerali ed istintivi che si possano immaginare. Non serve cercare di distinguere i suoni sintetizzati e quelli acustici della batteria, perché si entra in un’ altra dimensione. A tratti emerge Mehldau, con un accordo, un riff melodico inconfondibile. Ma sono momenti quasi subliminali in un torrente di suoni nuovi, nuovi perché parlano di un’ intenzione di ricerca, di rinnovarsi. Mehldau esprime se stesso, ancora una volta, riuscendo a comunicare se stesso nella sua nuova identità Mehliana .
Posso qui descrivere che ho ascoltato ad esempio un’ alternanza di due accordi, I minore e diminuita, che si tramutano in maggiore e sui quali si costruisce un’ improvvisazione totalmente libera. Oppure un suono continuo a bordone scelto per a sua fissità e per il timbro penetrante, quasi disturbante, ossessivo fino allo spasimo e una progressione fissa di accordi, circolare, continua… o anche un episodio slow in cui il i suoni acustici della batteria e gli effetti delle tastiere evidenziavano la ricerca spasmodica dei contrasti timbrici. O anche dei drammatici crescendo di volume in cui la batteria cresce anche di spessore sonoro, virtuosisticamente, fino all’ estremo per poi arrivare quasi di botto alla rarefazione totale. Arpeggi a loop, cristallini, con la mano sinistra,mentre la destra insiste su suoni acuti. Poi improvvisamente emergono accordi blues. E ancora accordi fermi che durano un’ intera battuta. Alcuni brani impiantati su una struttura di una semplicità disarmante, altri talmente convulsi da rendere difficile il riconoscerne la struttura stessa. E’ servito a qualcosa che io vi abbia descritto alcune (solo alcune) delle cose accadute dal punto di vista strettamente musicale? Non credo. Mehliana va fruito non resistendo psicologicamente alla intensa quantità di suono che vi travolgerà. Al termine vi ci vorrà qualche minuto per rientrare in voi.
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