Il mio inglese è quasi rozzo, e le discussioni qui a Dublino sono invece di altissimo livello.
Eppure anche per me in oggettiva difficoltà molti concetti sono apparsi chiari.
Il Jazz è vittima di una cultura musicale egemonica che gli toglie ossigeno? In che modo si può creare, già con i bambini, una "cultura" ed una diffusione corretta del Jazz? Il Jazz può essere oggetto di un approccio multidisciplinare? Come è trattato il Jazz in Inghilterra, in Irlanda, nei paesi Scandinavi, ci sono organizzazioni che riescano a far confluire le idee in maniera organica, a fare in modo che la musica abbia una diffusione più capillare possibile?
Quanto sono efficaci Tv e Giornali e quanto più efficaci e funzionali possono rilevarsi i blog, i social networks (con la loro diffusione che Jim Carrol, giornalista e blogger, definisce "virale?")
Il direttore del Festival Gerry Godley ha moderato un dibattito che ha aperto un panorama vasto e ricco, attraverso un dialogo vivo ed empatico tra i delegati europei intervenuti, che erano Diana Spiegelberg
Di certo in Italia c'è ancora molto da lavorare almeno sulla fondazione di efficace una attività di coordinazione tra manager, musicisti, organizzatori di festival, etichette discografiche che valorizzi il patrimonio jazzistico che di sicuro è vivo ma costantemente in debito di ossigeno e di idee.
Avrei voluto essere in grado di potervi raccontare nei dettagli tutto ciò che si è detto: ma corre in mio aiuto il geniale artista che ha redatto un verbale estemporaneo "work in progress" trasformando in disegni i concetti che venivano sviluppati dai relatori. Improvvisando: come si fa nel Jazz. E allora, se vi accontentate delle foto scattate con il mio Iphone eccovi un riassunto molto più efficace di un mio zoppicante ed incompleto Abstract.
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