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mercoledì 22 maggio 2013

FRANCESCA CAMPI - Presidente etichetta discografica CAM JAZZ




Francesca, la CAM JAZZ è l’ etichetta italiana di Jazz più prestigiosa al momento.  Ma tu non sei partita dal Jazz come imprenditrice:  spiegaci il tuo percorso .

Grazie per il complimento: non so se siamo la più prestigiosa: so, però, che cerchiamo di fare cose che ci piacciono, che suonano bene, e che siano belle anche esteticamente.  Ci consideriamo una boutique label: curiamo il nostro prodotto in maniera artigianale (non a tutti garba questo modus operandi), non abbiamo manie di grandezza, ne’ corriamo dietro a obbiettivi irrealizzabili. 
Il mio percorso? C’era una volta CAM s.r.l.,  AKA  ‘CAM ORIGINAL SOUNDTRACKS’ (ceduta alla Sugar Music nel 2011), dove ho iniziato a lavorare nel 1989. Inizialmente ero in studio di registrazione, per capire come nasce una registrazione, partire dal primo step, insomma, e poi pian piano salendo di livello.  Sono stata privilegiata (l’azienda e’ di famiglia) ma, per contrasto, e’ stata anche una delle esperienze di vita più difficili, sia dal punto di vista professionale, sia per il rapporto turbolento con il mio geniale mentore, mio padre. 


Ad un certo punto nasce CAM JAZZ. Come è accaduto?

CAM JAZZ e’ nata per caso, ma in maniera naturale, agli inizi del 2000.   Mio padre, che ancora era attivo in azienda, ha sempre avuto il pallino di innovare, di far conoscere i temi da film italiani ad un pubblico più ampio, diverso. Quel giorno era in ufficio il contrabbassista Giovanni Tommaso: avevamo appena finito di registrare la colonna musicale di un film, con musiche da lui composte. Giovanni stava finalizzando gli ultimi dettagli della pratica della colonna musicale con l’allora assistente della nostra responsabile di colonne sonore, Ermanno Basso (che ora è il nostro produttore) .  Fu allora che mio padre, venendo a conoscenza che Giovanni era un jazzista, gli propose l’idea di suonare in versione jazz alcuni dei temi più noti tratti dal nostro catalogo. Giovanni accolse l’idea con entusiasmo, e fu cosi che nacque il primo album di CAM JAZZ, “La dolce vita – Tommaso/Rava Quartet”.  La prima edizione usci’ su etichetta CAM.  Fu un successo, e ci diede la confidenza necessaria per continuare il filone.  Dopo poco creammo il nuovo logo, inclusivo della parola ‘jazz’, al fine di realizzare una linea di interpretazioni in stile jazz del vasto catalogo di colonne sonore a nostra disposizione … poi gli orizzonti si ingrandirono e noi ci allargammo (includendo anche jazz originale nei nuovi album).

Avete acquisito due prestigiose etichette, La Black Saint e la Soul Note. Non è un’ operazione da poco, quando e come è accaduta?

Nel 2008 abbiamo avuto questa incredibile occasione.  Per motivi personali la famiglia Bonandrini aveva deciso di vendere il catalogo (inclusivo anche delll’etichetta Dischi della Quercia), e noi eravamo pronti a fare il gran passo.


Come è organizzata la casa discografica? In quanti siete a lavorare?

La base e’ a Roma, in pieno centro.  Abbiamo un simpatico responsabile delle vendite, una efficiente responsabile della produzione discografica, una concreta responsabile copyright & royalty, una macchina da guerra responsabile del jazz tutto, un gentiluomo produttore, un acuto ingegnere del suono, una rigorosa responsabile del digitale, e poi una precisa contabile. E preziosi collaboratori esterni. Poi c’e’ il mio grande fratello Agostino, con base a New York, lui e’ l’uomo dei numeri e delle nuove tecnologie. Poi ci sono io, un po’ come il prezzemolo, o il collante, se vuoi.   E infine c’e’ Meri, l’anima di tutto, mia sorella. Lei porta il sole in ufficio tutti i giorni, e il suo sorriso.


Come scegli i tuoi collaboratori?

Prima si valutano le competenze, ovvio. Poi, io ho spesso scelto in base al feeling, e al segno zodiacale.


Cosa ti fa decidere di produrre l’ uno o l’ altro artista, o gruppo?

La decisione di produrre avviene sempre in accordo con Ermanno Basso, il nostro produttore.  Il progetto ci deve piacere e convincere, in primis dal punto di vista musicale, poi artistico.


Una volta decisa una produzione, cosa accade, quanti passaggi ci sono prima di arrivare al giorno della registrazione?

I passaggi sono diversi. Se non e’ un progetto ‘pronto’ che ci viene sottoposto, c’e’ la creazione e valutazione del concept a monte del progetto da realizzare. Poi, c’e’ l’ascolto dei pezzi potenziali, i contratti, le liberatorie, l’organizzazione dello studio, prenotazioni dei viaggi, la definizione della parte tecnica con il fonico, tante sono le cose … Il tutto varia da progetto a progetto: per alcuni i passaggi sono piu’ snelli per altri, invece, piu’ articolati.


In questo percorso quali sono le difficoltà maggiori?

A volte gli agenti degli artisti rendono le cose semplici complicate. 

Dopo la registrazione quali sono le fasi che portano poi alla realizzazione del disco?

C’e’ il  mix e il mastering. Poi il processo artistico - grafico - redazionale.  La stampa, la promozione, e la successiva distribuzione del prodotto fisico.  E poi c’e’ anche tutto l’aspetto digitale: l’invio del materiale grafico e audio a tutti i canali digitali .  

Una volta uscito un cd cosa è necessario fare per promuoverlo, e quanto è importante che gli artisti in questione vadano a suonare dal vivo?
Quanto contano i media tradizionali e quanto il mondo del web per promuovere i vostri progetti ma anche la vostra azienda?

La promozione tradizionale e’ importante, certo. Ma i concerti, i tour, le rappresentazioni dal vivo sono il veicolo più importante e immediato per la promozione di un nuovo prodotto.  Poi, in questi ultimi anni i social media sono elementi fondamentali: direi quasi vitali.  Per quegli artisti che non sono ancora molto pratici, cerchiamo di insistere sull’importanza di avere almeno un sito web, una pagina artista su facebook, e un account su twitter.  Non e’ sempre facile, anche perche’ obbiettivamente ci vuole tempo per gestire tutti questi media.


Tu produci arte, ma la tua è anche un’ azienda di successo.  Come si fa a conciliare l’ innegabile aspetto “affaristico” che è fondamentale per portare avanti un’ azienda,  con la musica, anzi con una musica particolare come il Jazz? Quale è il punto di incontro tra due aspetti apparentemente così distanti  tra loro? Ci vogliono compromessi , oppure ci vuole lungimiranza, o ancora magari una certa dose di audacia?

Ci vuole tanta passione, audacia, e un occhio sempre molto attento ai numeri. Siamo una boutique label, ripeto, ci piace creare ogni progetto come se fosse un gioiello unico, che duri nel tempo e che acquisisca valore col passare degli anni.  Per molti progetti ci vuole tempo prima di riuscire a rientrare dei costi: fondamentale e’ riuscire a mantenere un equilibrio tra entrate e uscite, cosa non sempre facile.  Grazie però a un mix di progetti di diverso costo e diverso successo, riusciamo ad andare avanti. 

Quanto contano in un lavoro come questo le public relations?
Se intendi nel senso di girare, essere presenti ai concerti, ai festival, agli eventi mirati, ti dico si, e’ importante. 


CAM JAZZ è attiva anche all’ estero e negli USA.  Che differenze trovi quando devi agire sui tuoi artisti tra Italia ed Estero? E tra Europa ed America?

Se l’artista o il progetto che stai presentando è locale (cioè di quel paese), ne e’ facilitata la vendita, la promozione, e tutto ciò che vi è correlato. Viceversa, è complesso penetrare il mercato e convincere.  Lo sforzo e’ grande, e spesso, purtroppo, si fa un buco nell’acqua.  Quindi, e’ molto importante riuscire a lavorare con artisti che sono conosciuti nel loro mercato.  Questo ci aiuta a stabilire dei buoni rapporti con i distributori locali i quali, poi, ci aiutano a introdurre altri nostri artisti meno conosciuti in quel territorio. 


Quanto è conosciuta all’ estero la CAM JAZZ? Avete rapporti con altre case discografiche?

Credo di poter dire che negli ambienti che girano intorno al jazz siamo abbastanza conosciuti, sia in Italia che all’estero. Ma e’ una continua scommessa,  un continuo sforzo, per mantenere visibilità e credibilità a tutti i livelli.

Quali sono i parametri che ti fanno dire “questo cd è andato benissimo”? Ovvero, nel settore del Jazz quali sono i numeri che decretano che un progetto ha avuto successo? Parlo di vendite, ma anche di feedback in generale. 
Quanti rischi si corrono ogni volta che si produce un artista o un gruppo?

Dipende dal progetto.  Per esempio, un cd della serie ‘cam jazz presents’ (la nostra serie dedicata ai giovani) per noi e’ andato benissimo se ha coperto i costi, il che in termini di copie vendute varia tra le mille e le duemila.  Per un cd di artisti più conosciuti, per noi il progetto e’ andato bene se ha venduto tremila copie; oltre quel numero, e’ andato benissimo!  Ma il mio punto di vista e’ sopratutto artistico.  Se fai la stessa domanda al nostro uomo dei numeri ti risponde ben altro…  direi che l’ 80% delle volte che si produce un cd, e’ un rischio.


Adesso tu vivi a Los Angeles. E’ difficile gestire il lavoro da un altro continente oppure è un valore aggiunto?

Il team Cam Jazz,  sparso tra Roma e  dintorni e New York, e’ formidabile. La lontananza inizialmente credo abbia intimorito tutti, ma presto e’ diventato un valore aggiunto. Tutti i collaboratori sono sbocciati come fiori in primavera.  Comunichiamo giornalmente tramite le nuove tecnologie. Sono convinta che oggi non sia più necessario avere una base fisica. 


Come influisce la crisi economica in un lavoro che è incentrato sull’ arte? 

Influisce su tutta la catena, anche se noi cerchiamo di non far pesare questo sulla produzione artistica dell’album. Ma, incide sia sulla parte creativa che sulla parte commerciale ed economica.

In che rapporti rimani con gli artisti con i quali decidi di lavorare?

Ottimi, a parte poche eccezioni. Mica si può piacere a tutti.

Il successo dipende più dall’ istinto, dal fiuto, o da una preparazione ferrea?

Il successo può dipendere anche da tutte e tre queste cose.   Ma spesso, secondo me, essere al posto giusto nel momento giusto aiuta: trovarsi “per caso” su quella cresta d’onda, poi cavalcarla il più possibile è fondamentale.  Ci sono tanti esempi che potrei fare di artisti che si meriterebbero di essere alle vette, ma per misteriosi motivi, nonostante il duro lavoro di tutti, non vi arrivano.

In generale tendi a delegare parte del tuo lavoro o preferisci avere tutto sotto il tuo diretto controllo?

Ho imparato a delegare. E’ bello, soprattutto perchè scopri aspetti e pregi dei tuoi collaboratori di cui eri inconsapevole.

Ora le domande che rivolgo a tutte le intervistate. 

Trovi che nel mondo del Jazz le donne siano favorite?

Se sei brava, sei favorita.

Qual è la cosa più difficile del tuo lavoro?

Dover licenziare qualcuno.

La più semplice?

Andare a lavorare ogni giorno.

La più spiacevole?

Vedere chiudere tanti negozi di dischi. E sollecitare i distributori che non ci pagano.

La più piacevole?

Quando vado in studio di registrazione, e il vivere la creazione di un pezzo.


martedì 14 maggio 2013

Olgiate Olona,JazzAltro. Fabrizio Bosso Spirituals Trio, le foto di Daniela Crevena

Siamo sempre in movimento, per il Jazz!
21 Aprile 2013, JazzAltro

Fabrizio Bosso Spiritual Trio, visti da Daniela Crevena.
Guardate la musica insieme a noi! W il Jazz!
D&D

Fabrizio Bosso, tromba
Alberto Marsico, organo Hammond
Alessandro Minetto, batteria































lunedì 6 maggio 2013

Rosario Giuliani 5tet alla Casa del Jazz! IMAGES


IL JAZZ PER IMMAGINI O LE IMMAGINI DEL JAZZ
 Casa del Jazz, 30 aprile 2013, ore 21

Rosario Giuliani 5tet

Rosario Giuliani, sax alto

Roberto Tarenzi, pianoforte


Joe Locke, vibrafono


Darryl Hall, contrabbasso


Joe La Barbera, batteria




Articolo di Daniela Floris

Foto di repertorio di Daniela Crevena 






Parte dalle sue foto più care Rosario Giuliani, quelle che hanno importanza per la sua vita e la sua carriera, per trovare ispirazione e comporre (e suonare) i brani del suo nuovo cd,"IMAGES" edito da Dreyfus Jazz, presentato in un bellissimo concerto alla Casa del Jazz di Roma, accompagnato da musicisti di classe oramai rodatissimi tra loro. 
Interplay, tecnica, espressività, divertimento, fantasia, lirismo ma anche energia – senza mai sfociare nel muscolare fine a se stesso: ogni brano è percorso da più d’una di queste caratteristiche, e Giuliani li presenta raccontandone la sorgente visiva, tratta dal suo personalissimo album di ricordi, o suggestioni.
E così si passa dalla foto della sua Terracina, a quella con il grande amico e produttore scomparso Dreyfus, a quella con la amatissima mamma, al paesaggio incredibile di un lago siberiano o dell’isola della Nuova Caledonia, o alla verticalità stupefacente dei grattacieli di NY.





Ma non troverete mai nulla di minimalista, o connotato da un punto di vista “etnomusicale” (le cosiddette contaminazioni, così di tendenza in moltissimi progetti attuali) , nulla di didascalicamente descrittivo. Capirete ancora una volta invece che Giuliani è cittadino del mondo, e che le sue “visioni” le parla con un unico linguaggio, puro: quello del Jazz. Un Jazz che è da descrivere come europeo, o americano, o semplicemente come Jazz, lingua unica che traduce le sensazioni più varie, da quelle interiori ed affettive, allo stupore del viaggio in posti lontani, all’ emozione di una grande amicizia.  Lo stesso quintetto d’altronde è formato da musicisti che vivono e/o suonano tra l’America e l’Europa.  Per loro dunque  il Jazz è lingua comune, esperanto:  Giuliani, Locke, Hall, Tarenzi e La Barbera la parlano in maniera fluente, disinvolta, e si possono permettere davvero di giocare come vogliono e quanto vogliono, divertendosi e divertendo.


Dialoghi serrati e pieni di verve tra batteria e vibrafono, swing alle stelle con pianoforte e contrabbasso come irresistibili propellenti, ma anche episodi solistici pregevoli. Un Giuliani inarrestabile ma anche poeticamente sommesso, con i suoi pianissimo sempre così intensi (come in “Sea and Shadow”). Joe Locke in stato di grazia fa tintinnare il vibrafono sempre legandosi con gli altri e contribuendo a un sound complessivo perfettamente amalgamato , pur rimanendo così singolarmente cristallino.




Una varietà di soluzioni infinita contribuisce a rendere questo concerto ricco di spunti diversi: temi melodici cantati all’unisono da contrabbasso e vibrafono (come in “L’Ile des pins”, descrizione evidente non dell' isola in se ma delle sensazioni ad essa legate). Spunti tematici parkeriani (come in Vertical Voices, dedicata a NY) in cui il sax vola snocciolando perfettamente grappoli di note e in cui il Trio piano – contrabbasso – batteria dà saggio di swing travolgente.  O anche momenti di sognante dolcezza come in “Angel at my side”, ispirata alla propria madre. E brani accattivanti in tempo dispari, densi di crescendo travolgenti.
Quale è il fascino di questo concerto? Il segreto è semplice da dire  e difficile da realizzare. Giuliani e il suo quintetto non plasmano banalmente il Jazz al fine di descrivere alcune immagini, ma compiono il percorso opposto: fanno in modo che quelle immagini si tramutino in Jazz... il che non crediate sia così scontato: non lo è.